A volte capita di sminuire l’importanza dei messaggi veicolati dalle pubblicità, associando quest’ultima ad uno strumento strettamente legato a questioni commerciali.. “che pubblicità orribile, sicuramente ne pagheranno lo scotto, nessuno comprerà più i loro prodotti”.. Ma siamo davvero sicuri che finisca tutto qui? Che una pubblicità sbagliata incida solamente sul destino di un’attività commerciale? E che invece una serie di messaggi provocatori, sessisti, razzisti, non siano un fallimento dell’intera società?
Non si può certo parlare di “evoluzione” senza virgolettare il termine quando si parla delle pubblicità con riferimenti sessisti e denigratori nei confronti delle donne, che, negli anni, hanno visto però un cambiamento di rotta. Partiamo dalle prime pubblicità sessiste degli anni 40-50 che vedono la donna come inferiore e sempre subordinata all’uomo, il suo ruolo è quello di servirlo e riverirlo, rassettare la casa, cucinare. Se le aspettative del marito vengono deluse la violenza è totalmente accettabile, anzi, decisamente meritata.
“la tengono al suo posto”
“è bello avere una donna in casa”
“falle vedere che è un mondo degli uomini”
“più una moglie lavora sodo più è bella”
“se tuo marito ti becca che non stai usando il barattolo salva-freschezza del caffè”
Finalmente nel marzo del 1947 poche righe che avrebbero cambiato per sempre la cultura del nostro Paese. «I cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di religione e di opinione politiche, hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge….». Era il primo vero passo avanti per la donna in Italia. Anche la pubblicità incomincia lentamente a mutare, tuttavia, non sempre nella direzione giusta.
Le pubblicità sessiste iniziano infatti a modificare il ruolo della donna che passa inesorabilmente dalla cucina alla camera da letto. Di seguito una piccola raccolta di pubblicità volgari e mortificanti in cui la donna viene utilizzata in giochi di parole e freddure di una tristezza rara.
La pubblicità diffonde valori, opinioni, costumi, linguaggi. Ci rende tolleranti verso stereotipi e pregiudizi e contribuisce alla costruzione di un immaginario collettivo. Per questo motivo la pubblicità è un problema di tutti, non solo di chi la fa.